E’ l’ulteriore dubbio su questa tecnica che alcuni ricercatori inglesi avanzano
I miglioramenti nei laboratori di Fecondazione assistita hanno reso possibile la coltura degli embrioni fino allo stadio di blastocisti per trasferire in utero embrioni che abbiano un maggior potenziale di impianto. L’obiettivo, mediante il transfer di una sola blastocisti, è anche quello di ridurre il rischio di gravidanze gemellari ed i possibili problemi neonatali.
Tuttavia in un lavoro scientifico di revisione delle esperienze mondiali su questo argomento Maheshwari e Coll. dell’Università di Aberdeen in Inghilterra hanno dimostrato l’esistenza di rischi non piccoli per i bambini nati mediante il transfer di blastocisti.
Questi ricercatori hanno dimostrato un aumento di parti prematuri (Dar e Coll.,2014; Maheshwari e Bhattacharya, 2013), gemelli monozigoti (Luke e Coll, 2014), bambini troppo grandi per l’età gestazionale (Zhu e Coll., 2014), anomalie congenite (Dar e Coll.,2014), percentuali alterate di neonati maschi e femmine (Chang e Coll., 2009).
Non si deve trascurare che questi rischi riguardano perciò anche la diagnosi preimpianto che generalmente si esegue proprio allo stadio di blastocisti per diagnosticare malattie genetiche trasmesse dai genitori o aneuploidie degli embrioni.
Infatti in precedenti articoli noi avevamo già evidenziato i numerosi dubbi provenienti dalla coltura embrionale fino allo stadio di blastocisti (Blastocisti o non Blastocisti: questo è il problema!; Uso delle blastocisti nella PMA, un mito da sfatare; Blastocisti: i migliori embrioni possibili?; Fecondazione assistita: le blastocisti sono fonte di rischio; L'impianto delle blastocisti coinvolto nella nascita di bambini con peso superiore alla norma; Il mito della blastocisti; Rischi genetici nella cultura in vitro degli embrioni). In pratica scrivevamo che gli ovociti e gli embrioni coltivati a lungo fuori dal corpo (anzicchè in utero) subivano uno stress non indifferente rispetto all’ambiente uterino. Le domande che infatti ci ponevamo erano numerose. Tra queste : quanti degli embrioni coltivati in vitro arrivano effettivamente a blastocisti? Potrebbe la coltura in vitro prolungata favorire lo sviluppo di aneuploidie specie nelle donne di età più elevata che producono ovociti più fragili?
Questo lavoro di Maheshwari ora aggiunge dubbi anche sulla salute dei bambini nati con queste tecniche di coltura . Pertanto i ricercatori inglesi si chiedono quanto valga la pena tentare di aumentare le percentuali di gravidanza con il transfer di blastocisti se poi i bambini nati con questa tecnica sono esposti a rischi di vario genere come quelli sopra evidenziati .
Molti centri pertanto si stanno riorientando verso colture embrionali più brevi (2-3 giorni) con risultati molto incoraggianti come quelli del Centro Biofertility.
Infatti nella tabella sono riportati i risultati più recenti del centro Biofertility relativi agli ultimi 102 cicli di ICSI eseguiti e li abbiamo confrontati con quelli della media dei centri italiani pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità e relativi al 2013. Questi cicli sono stati eseguiti con un grado massimo di personalizzazione e trasferendo in utero gli embrioni dopo 2 o al massimo 3 giorni di coltura. Nella colonna di sinistra si vedono le età medie delle pazienti ( per Biofertility 39,7 anni contro una età media dei centri italiani invece notevolmente più bassa : 36,5 anni) . Nella colonna successiva c’è la percentuale di beta HCG positive che era del 45% per Biofertility e dell’19,5% per la media dei centri italiani. Ma anche nella quarta colonna si vede una differenza notevole nelle percentuali di gravidanze avanzate (cliniche) :27,4% per Biofertility e 14,7% nella media nazionale dei risultati.
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