“Dare è la più alta espressione di potenza. Nello stesso atto di dare, io provo la mia forza, la mia ricchezza, il mio potere. Questa sensazione di vitalità e di potenza mi riempie di gioia. Mi sento traboccante di vita e di felicità. Dare dà più gioia che ricevere, non perché è privazione, ma perché in quell'atto mi sento vivo”. Questa è una delle straordinarie frasi che Erich Fromm nel 1957 scrisse nel suo “L’arte di amare”. Ognuna delle parole che compone il pensiero di questo autore ci aiuta a comprendere quanto sia bello, vivendo un sentimento, predisporsi al donare emozioni, piacere, sensazioni, presenza, tutto ciò che provvede a far sentire l’altro o l’altra unico essere ai nostri occhi. Ma affinché l’amore sia un atto sano e duraturo, dobbiamo anche sottoporre il nostro entusiasmo ad una considerazione essenziale: stiamo amando quella persona o stiamo amando l’immagine e l’idea che quella persona ci offre dell’amore?
In altre parole, il nostro desiderio verso quella persona è alimentato dalle caratteristiche che possiede e che la dipingono come unico quadro possibile nel nostro cuore oppure stiamo offrendo a noi stessi un’occasione di riscatto per un amore sognato e mai provato, o per un amore vissuto e purtroppo finito o che ci ha trafitto nel più profondo del nostro animo?
E’ sempre più facile assistere oggi, nella vita reale ed in quella virtuale, a persone che si lasciano trasportare dall’impeto di una passione, confondendola con amore oppure di proiettare su quell’uomo o donna, aspettative su caratteristiche di personalità che abbiamo sempre sognato, quasi come un principe azzurro o una principessa rosa appartenenti alle fiabe del nostro passato.
Proiezione ed identificazione sono due processi assai tipici nell’essere umano che ha necessità di essere compreso, di essere considerato, di essere importante per qualcuno. Al punto anche di svendere se stessi, di sottoporsi ad una svalutazione della propria persona pur di essere accettati nella povertà del dolore provato in passato.
Si assiste allora a donne che, in colpa per non esser riuscite a dare abbastanza affetto al proprio padre o al proprio partner, si lasciano andare a rapporti di presunto amore con un essere violento, spregevole o che, malato, riesca a far scontare quella pena che ingiustamente dovrà scontare. Uomini freddi che incontrano donne “zerbino”, pronte a sottostare ad ogni più becera umiliazione e che innescano ingranaggi patologici, ma soprattutto di difficile risoluzione, perché la cecità prende il posto della visione obiettiva e razionale.
Si inizia con l’accettazione della ‘malattia’ del proprio uomo (ma può accadere anche che sia la donna a vivere una condizione di dipendenza), perché si confonde l’amore con l’assistenzialismo, i sentimenti diventano pietà alla quale si dà credito perché in fondo la società ci ha sempre detto che l’amore è sofferenza, accettazione dell’altro e condivisione di dolore.
Ecco allora che, sempre Fromm, afferma in un’altra sua memorabile citazione: L'amore immaturo dice: "ti amo perché ho bisogno di te". L'amore maturo dice:"ho bisogno di te perché ti amo".
E’ opportuno riflettere sul momento in cui il trasporto verso una persona diventa irrinunciabile. Questo anche perché è dall’autonomia e dal benessere del singolo partner che può aver inizio un rapporto solido. Così come è opportuno riflettere sui meccanismi psicopatologici per dare risposte anche a realtà patologiche oggi molto diffuse e che prendono il nome di stalking o di violenza intrafamiliare.
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