Nell’essere umano esistono delle fasi di vita legate al cambiamento e delle fasi legate alla crisi. Accade nell’epoca legata al transito tra adolescenza ed età adulta, così come accade quando si affrontano nuovi eventi che presuppongono un’attivazione di risorse ed energie fino a quel momento non necessarie. Siamo fondamentalmente il risultato delle nostre esperienze, legate da un lato ai costrutti mentali che ci offrono i nostri genitori, dall’altro a quelli che sono stati gli insegnamenti ricevuti per esempio durante il percorso scolastico, come anche quelli che si sono determinati e sviluppati dal confronto con coetanei e persone appartenenti alla nostra rete sociale.
La gran parte dei nostri percorsi di vita risentono di consigli, suggerimenti, proposte, vissuti che però fanno parte di esperienze che a loro volta hanno modellato, trasformandole, proprio le persone che utilizzano quel loro metro di valutazione, associandolo a noi. Questo, in realtà, è un peccato che, seppur veniale, alle volte spalanca scenari assai legati a fenomeni come la “trasgressione” o l’ “anacronismo” nel vivere del diretto interessato.
Prendiamo in considerazione un adolescente che, soprattutto al termine dei suoi studi, si trova a dover affrontare un nuovo iter di responsabilizzazione, come può essere quello del trovare lavoro.
Da un lato si sarà ritrovato ad affrontare i suoi pregressi bisogni, costantemente supportato dai genitori, pronti a suggerirgli il percorso più opportuno. Questo avrà determinato in lui una sensazione di protezione, di vivere in una sorta di guscio solido ed esente da qualsiasi fustrazione esterna. Dall’altro, anche confrontandosi con amici e conoscenti, si renderà conto che il mondo esterno è fatto di richieste sicuramente differenti rispetto a quelle un tempo affrontabili dai suoi genitori. Ecco che si palesa un cruciale anacronismo rispetto ai dettami educativi familiari che, essendo frutto di epoche precedenti, avevano coerenza e valenza nell’ ‘allora’ e non nel ‘qui e ora’.
Il conflitto diventa, quindi: ascolto i miei genitori ed utilizzo il sistema di valori/insegnamenti/strategie che mi hanno suggerito, o mi attivo nella ricerca, nuova ed acerba, di soluzioni che possano aiutarmi a districarmi nella ragnatela di scelte?
Non è di certo facile offrire una risposta, anche perché dietro ad un giovane che si affaccia al nuovo mondo adulto, possono esserci genitori fragili o rigidi, conformisti o liberali, tutelanti o dalla totale apertura. Ecco allora che gli stimoli, virtuosi e viziosi, cui si trova a fare fronte un giovane, ci informano di quanto, piuttosto che il giudizio, debba essere posto l’accento sull’ascolto empatico e sul dialogo aperto. Questi evitano il pericoloso chiudersi a riccio ed il secondo meccanismo sopradescritto: quello della trasgressione.
L’ideale atteggiamento delle persone che sentono che il proprio figlio vive una situazione di angoscia, frustrazione o semplicemente di indecisione, è quella che molti esperti chiamano “osservazione partecipata”. Mai sostituirsi al giovane, ma nello stesso tempo offrire la consapevolezza a quest’ultimo che sempre esisterà un ‘porto sicuro’ al quale fare riferimento.
In fondo, il rischio fa parte di qualsiasi categoria o condizione di vita. E, così come un nuovo imprenditore, nella sua progettualità professionale ed aziendale, occorre che valuti il suo ‘rischio d’impresa’, anche un giovane dovrà prevedere l’eventualità di una ‘caduta’, davanti alla quale acquisire le informazioni utili per rialzarsi e vivere il nuovo, cosciente dei propri sbagli.
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